Victus Amor¿ (2019)
Il ritorno discografico di Boskovic, a sei anni dal lodevole esordio “A temporary lapse of heaven” e a tre dal live “Loss heaven live!”, suona come la conferma di un talento artigiano nel confezionare pop-rock d’immediata fruibilità mediante uno stile ricco di dettagli che ne giustificano un ascolto iterato.
Come per gli album precedenti anche in “Victus amor¿” risuonano evidenti le influenze al più blasonato pop britannico sviluppato dalla venuta dei Beatles in poi, una formula arricchita dall’amore per il prog da classifica dell’Alan Parson Project e dei Pink Floyd nei tardi Anni ’80. Il tutto è ammantato però dal carattere del musicista vicentino, il quale vince la sfida di un songwriting in lingua inglese grazie ai testi di buona fattura di Marco Pivato e a interpretazioni vocali emozionanti dalla prima all’ultima nota.
L’incipit strumentale “Sorrow” parla il linguaggio di un’atmosfera drammatica su cui svetta un assolo della chitarra elettrica in bilico tra tenerezza ed epicità.
“Victus amor¿” racconta la storia d’amore di due persone attraverso diversi periodi storici, un sentimento in grado di reincarnarsi generando a ogni nuovo incontro situazioni differenti accomunate dalla travolgente passione di cui sono capaci solo le emozioni totalizzanti. Un concept variegato che distribuisce stati d’animo diversi per ognuno dei tredici pezzi in scaletta.
Tra i momenti più significativi va nominato “The artist with no pen”, in cui i passaggi accordali da maggiore a minore riportano alla crème del britpop nei nineties con una naturalezza che pone un interrogativo sull’effettiva nazionalità di Boskovic. La raffinata semplicità in cui la strofa scivola nel refrain, la misura in cui il sax espone il proprio assolo profumano di quel soft rock che ebbe in Al Stewart uno dei suoi epigoni; se Stewart torna evidente nella delicata “My little woman” con “I need you” si cavalca un flower punk ovviamente distorto che non rinuncia alla melodia, una grinta riscontrabile nei migliori Green Day qui arricchita da un bridge di particolare eleganza formale. Con “SILeA” il gioco si complica, rilucendo da un caleidoscopio di forme e colori glaciali per poi aprirsi a un rock da brividi che canta con trasporto l’attimo dell’addio.
Dietro ogni angolo si cela una citazione, un rimando, un’intuizione che conferiscono al tutto un respiro internazionale ben condito dalla personalità del cantautore vicentino. Episodi ibridi quali “Another sun”, in cui la new wave degli eighties sposa il soul bianco, sanciscono più di tante parole la maturazione di un talento affinata da anni di dura gavetta.
Sotto il profilo tecnico l’album è il frutto di un lavoro che ha occupato l’autore e la sua squadra per oltre un anno. Unitamente alla classica formazione rock di chitarra-basso-tastiera-batteria va sottolineata la presenza di una sezione fiati arrangiata con gusto da Tommaso Ermolli, indispensabile per conferire a episodi come “She came in through the bathroom windows” una coinvolgente atmosfera r’n’b.
Letto nella sua interezza “Victus amor¿” è lavoro concepito dal cuore e cesellato dalla mente, un prodotto per amanti della musica vera, quella scritta e arrangiata per concedere all’ascoltatore un viaggio sonoro in grado di lasciare il segno.
Filippo Bordignon
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